La pantofola di pelle per le sculacciate erotiche

Chiappe rosse per le sculacciate

Viaggiare in metropolitana con una vecchia pantofola di pelle sul ginocchio stava iniziando a farmi sentire un po’ stupido. Fino a quando non sono stato ripagato..

Era la terza volta che ci provavo e avevo deciso che sarebbe stata l’ultima. Mi sentivo piuttosto stupido, a bordo della metropolitana con una vecchia ciabatta di pelle sul ginocchio. Ma poi si è seduta di fronte a me.

Carina, giovane, attraente, con il naso leggermente all’insù, capelli rossi, lunghi e lisci. La notai dopo aver notato i suoi occhi: verdi, vivaci, intelligenti. Interessata.

Vidi che guardava la pantofola, poi il numero di gambe che avevo. Poi il suo sguardo incontrò il mio. Un sopracciglio – quello destro – si inarcò in una domanda silenziosa. La guardai anch’io con lo sguardo fisso. Forse il bordo stesso della mia bocca si è leggermente spostato.

Lei lo notò e sorrise. Sentii quella bella sensazione che si prova all’inizio di qualcosa. Una specie di formicolio. Una leggera tensione di alcuni muscoli, farfalle nello stomaco. Quel genere di cose.

La metro si fermò. La mia fermata.
Ci alzammo entrambi contemporaneamente. Mi trattenni, la lasciai andare per prima, ero sempre gentiluomo. Anche la vista dal retro era buona. Indossava un cappotto lungo, stretto in vita in modo da mostrare la sua bella figura e faceva risaltare i suoi fianchi arrotondati. Stivali di pelle.

Alla scala mobile sapeva che ero proprio dietro di lei. Si girò.
I suoi occhi verdi erano all’altezza dei miei. Avrei potuto affogare in quegli occhi, se ne avessi avuto la possibilità. “Allora. È per uno zio con una gamba sola?” disse con il suo sorriso caldo.
“Non ho zii. E non conosco nessuno con una gamba sola.”
“Hmm. Interessante.”

La scala mobile ci lasciò al livello cittadino. Quando fummo sul marciapiede stavamo camminando fianco a fianco. “Da che parte vai? mi chiese.
Indicai l’altra parte della strada. Un altro sorriso e disse: “Quindi andiamo nella stessa direzione.”

Aspettammo al semaforo, fianco a fianco, come se fossimo una coppia. Era una bella sensazione. Ed emozionante. Eravamo perfettamente al passo mentre attraversavamo e camminavamo dall’altra parte della strada. A metà strada si fermò.

“Io sono arrivata. Vuoi entrare? Posso offrirti un caffè. O del tè. O qualcosa di più forte, se sarai bravo.”
“Se sono bravo? Bravo in cosa?” risposi con leggero stupore e curiosità.
Aprì un cancello dalla ringhiera in ferro battuto, scese una piccola rampa di scale in pietra che portava al piano interrato.

“Beh vedremo” disse. “Vieni?” scese le scale senza aspettare una risposta.
La porta era solida, rossa con un batacchio di ottone opaco.
Un giro di chiave ed entrammo in un corridoio corto e largo, con quattro porte.

La più vicina, a sinistra, era aperta. Appese il cappotto e vidi che portava un top corto, una gonna scura al ginocchio, entrò e si rivolse a me dicendo:
“Accomodati. Faccio un caffè. Ne vuoi uno?”
“Sarebbe fantastico. Latte, senza zucchero. Grazie.”
Uscì in corridoio e poi, presumo, andò in cucina.

Sentii il rumore di un bollitore che veniva riempito. Guardai in giro per la stanza, e scelsi l’estremità del divano basso in pelle, mi sedetti, il più rilassato possibile. Sentivo il battito del mio cuore. In effetti mi avrebbe disturbato sapere che poteva sentirlo sopra il rumore del bollitore.

Sporse la testa attraverso la porta e disse: “A proposito, io sono Laura.”
Un minuto dopo apparve con un vassoio e due tazze e un piatto di biscotti.
“Non alzarti. Oh, non stavi per farlo.”

Di nuovo, parlò con un sorriso. Avrei dovuto alzarmi in piedi, che sbadato.
Presi una tazza di caffè. “Sono Stefano” dissi: “Piacere di conoscerti, Laura. Hai l’abitudine di invitare uomini strani e sconosciuti nel tuo appartamento?”

“Oh, non credo che tu sia così strano. Intrigante, forse. Vuoi un biscotto?”
Presi un biscotto e continuai: “Ma potrei essere un assassino con un’ascia.”
“Non sei un assassino. E quella non è un’ascia. Posso dare un’occhiata?”
Le diedi la pantofola. La prese in mano, la piegò.
“E’ piuttosto pesante. E grande. Che taglia pensi che sia?”

“Almeno un 42. Non ho idea di quanti anni abbia. L’ho trovata al mercatino dell’usato. La donna che la vendeva mi ha fatto la tua stessa domanda, se era per uno zio con una gamba sola. Le ho risposto quello che ho detto a te e lei mi ha detto che l’aveva usata negli ultimi 15 anni, per dare ai suoi figli quello che lei chiamava ‘lezioni a cinghiate’.”

Laura sorrise: “Non sentivo quel termine da un po’ di tempo. Mia madre lo diceva sempre. Però so bene cosa significa.”
Poi spostò la pantofola dietro di sé, sul suo bel culo.
“Scommetto che dà un bel colpo.”
La tirò indietro velocemente e si colpì sul sedere.

Il suono risuonò forte nella stanza. Saltammo entrambi e Laura si strofinò il sedere con la Continua a leggere…